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lunedì 20 maggio 2019

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALDINO LEONI

Aldino Leoni – Fra aria e pietra-- puntoacapo Editrice – Novi Ligure (Al)- 2019 – pag. 83 - € 12.00

Aldino Leoni, l’autore del testo che prendiamo in considerazione in questa sede, è nato ad Alessandria nel 1949 e cura fin dalla fondazione, nel 1981, la Biennale di Poesia di Alessandria.
La sua poesia è pubblicata da puntoacapo nei volumi A mani ferme, La piazza delle scintille, Uno: fotopoesie. È autore dei teatralconcerti Il bambino della Cittadella e L’insopportabile esplosione. Si è occupato di didattica della poesia e di teatro – scuola.
Fra aria e pietra presenta una prefazione di Barbara Viscardi Balduzzi esauriente e ricca di acribia.
Cifra distintiva della poetica di Aldino Leoni espressa in questo libro è quella del riuscito tentativo di creare atmosfere magiche nelle quali predomina la tematica della natura (animata quando sono detti animali e piante) o inanimata (quando, evento ricorrente, è nominata la pietra che è anche nel titolo della raccolta).
Le forme dei testi che qui incontriamo sono rarefatte ed è sempre eccellente il loro controllo e si constata costantemente una notevole eleganza stilistica.
Il versificare a volte è chiaro e luminoso mentre in altri casi s’invera in tessuti linguistici vagamente anarchici ed è sempre sotteso a una innegabile visionarietà.
Predomina quasi sempre un vago senso di mistero e una vena neo – orfica che rende le poesie ricche di fascino.
Protagonista pare essere il tempo che passa e non a caso la prefatrice scrive che morte e vita sono i due grandi temi della poesia di Aldino Leoni, affrontati da diversi punti di vista. Piccole e grandi esperienze del quotidiano ispirano versi che hanno in comune la consapevolezza della fine e la speranza in un Oltre che si profila al di là del tempo.
I versi sono sempre ritmici e armonici di un’armonia che crea un’avvertita musicalità.
Prevale un poiein descrittivo nel quale emerge talvolta la voce dell’io-poetante tra subitanei accensioni e spegnimenti.
I componimenti sono sempre raffinati e ben cesellati e sempre risolti con leggerezza nella loro icasticità senza il minimo sforzo.
Composita e intrigante la struttura architettonica del volume suddiviso nelle seguenti scansioni: Il monte, Con quali passi, Volano di più, Lento respiro, La danza del drago, Mai viste, Aria e pietra, Parlale.
C’è, come si accennava, una vena religiosa in questa scrittura come ad esempio in questa breve composizione senza titolo: - “Prego l’angelo/ che ben levata stia/ la sua spada/ fra aria e pietra” -.
Quindi l’iterativa pietra diviene simbolo di quello che è senza vita, della morte, nulla dal quale sporge forse ontologicamente l’essere se l’autore ipotizza l’esistenza degli angeli nominandoli.
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Raffaele Piazza

Barbara Viscardi Balduzzi
(Prefazione a Fra aria e pietra)

Morte e   vita,   ecco   i   due   grandi   temi   della   poesia   di   Aldino   Leoni, affrontati   da   diversi   punti   di   vista.   Piccole  e   grandi   esperienze   del quotidiano   ispirano   versi   che   hanno   in   comune   la   consapevolezza   della fine e la speranza in un Oltre che si profila al di là del tempo. La sua poesia si   colloca   appunto   tra   la   pietra   della   concretezza   e   l’aria,   il   respiro  di qualche cosa di più grande e misterioso, ma indispensabile. 
Sin dai   primi   testi,   umano   e   sovraumano   entrano   in   relazione, attraverso   l’indicazione   di   un   percorso   ascendente   (le   moltitudini “ispirano   le   ascese”),   dove   i   “corpi   senza   spazio”   convivono   insieme   ai “gesti poco sacrali” degli animali.
Umano e divino coabitano, si confondono, entrano in una relazione
che   solo   il   soffermarsi   sul   mistero   della   Risurrezione,   che   le   formelle suggeriscono, può tentare di spiegare.        
Il monte   suggerisce, sin dal titolo, un   percorso   di   svuotamento   progressivo   dei   segni   umani,   che   emerge dall’anafora,  dall’insistenza  della negazione:  “non per  le sfarinate/sole a divenire statue”, “non per gli incandescenti /soli a incrociare bracci” “non solo   per   la   vernice   blu   di   questa   croce”.   Il   termine   “solo”,   accostato   al “non”, sottolineando il colore vivace della croce, la rende plasticamente viva e ribadisce il permanere del simbolo sulla materia. 
Alla medesima tematica Aldino Leoni approda attraverso le immagini della natura.
Se ne  Le piante dell’inverno la fatica del vivere si coglie nel momento della   riacquistata   libertà   (“Iniziava   il   lento   respiro/di   arie   libere   con qualche / ingiallimento   e   la   fatica /   dell’estate,   l’attesa /   dell’acqua”),     e quindi   attraverso   un   ossimoro,   nel   testo   dedicato   alle   palme   di Montpellier e in quelli dedicati al noce il tema della morte è esplicito, ma accostato a quelli della croce e della misericordia. È sempre attraverso un ossimoro   che   viene   colto   il   tema   della   malattia:   “urli   dentro /   inudibili”, malattia  portatrice  di “lenta fine”,  ma  che  non annulla  la  prospettiva  di speranza: i “rami già verso il fiore”.
Nella   natura   si   possono   cogliere   i   passaggi   inevitabili   della   vita   e della morte, ma anche le prospettive di rinascita; dove invece a dominare è   la   mano   umana,   questa   speranza   viene   meno.   Rovesciando   i   termini carducciani il poeta ci propone un “bove / pio”, trasformato in “affare / della carne   e   del   sangue”.   L’ ”anche   tu”   fa   dell’animale   un   simbolo   della distruzione   che   l’uomo   può   portare   intervenendo   sulla   natura   e violandola.
Questo testo fa un po’ da cerniera rispetto alla sezione che segue, interamente  dedicata  alla  guerra  e  in particolare  ai  bambini  siriani,  che muoiono cercando di sfuggirla. Dalla morte come condizione inevitabile, dalla sofferenza della malattia che ci raggiunge e ci corrode senza che ne accorgiamo,   si   passa   ai   temi   della  morte   voluta   e   scelta   e   delle   vittime innocenti. Leoni ci propone in parallelo le gazze, viste dalle sbarre di una prigione: “inquadrate in inferriate” e “le altre”, quelle che portano “nella grinfia   la   noce   deflagrante”.   L’uomo   imita   la   natura,   ne   riproduce   le caratteristiche, ma ne altera il fine, le sue invenzioni diventano strumenti di morte, e dunque si tratta di una natura finta, corrotta e mortifera, che mantiene le sembianze, l’aspetto del bene, ma è in realtà portatrice del male.
Seguono tre testi dedicati ai bambini, caratterizzati dal contrasto fra i termini che evocano l’infanzia (”schizzi di gioco”, “guizzi e respiri”) e quelli invece della realtà, che è fatta di distruzione e morte, di inferno, come la citazione dantesca, “riveder le stelle”, evoca. Le tre poesie costituiscono un   trittico,   il   quale   presenta   un   movimento   dal   teatro   della   guerra all’approdo, la fuga de Bambini siriani I, dall’alto verso il basso, Bambini siriani II, e dal basso, il fondale marino, verso l’alto, Bambini siriani III.
I   restanti   componimenti   propongono   invece   il   rapporto   tra  i
sopravvissuti e noi, coloro che li dovrebbero accogliere e offrono invece il “fango   europeo”.   Aldino   Leoni   condensa   in   una   parola,   “Persone”,   un lungo discorso. Quella parola, lasciata sola a costituire una strofa finale, caratterizzata   anche   dalla   lettera   maiuscola,   è   di   grande   effetto,   e introduce il tema dell’ultima poesia della sezione, quello dell’impossibilità di   definire   santa   “la   bomba / di   punte   e   ferraglie”:   “Solo   all’incrocio   dei legni / si può venerare il sangue / innocente”, così ritornando al motivo già presente della croce, e della speranza al quale rimanda.
Esplicito il tema della morte nella sezione “Mai viste”, che propone una  serie  di lapidari necrologi.  Alcuni sono di  personaggi  molto famosi, altri noti più al mondo alessandrino, per ciascuno di essi il poeta coglie, come   un   guizzo   di   luce,   un   aspetto     significativo   che   ne   sintetizza   il percorso terreno e il rapporto con l’Assoluto. Se per Margherita Hack si immagina una morte come “vertiginosa ascesa” (come non pensare alla “vertiginosa serpentina” di Mario Luzi”), che rende possibile vedere anche quelle stelle “mai viste / nella vita di veglie”, quello dedicato a Umberto Eco coglie nella semplicità della bara, la “cassa”, una somiglianza con quella di Paolo VI, il primo  Papa che volle per sé soltanto la bara nuda e su di essa un Vangelo aperto, ma in questo funerale “Manca il libro”, fra i tanti che Eco   scrisse,   conobbe,   amò,   ora   manca   l’unico   che   può   essere   indicato come il fondamentale, come l’articolo determinativo ci suggerisce. Quella mancanza   si   fa   gesto   tra   alcuni   presenti,   “i   segni   dell’amen”,   i   quali, accostati   ai   “fiori   sul   legno”,   diventano   il   conforto,   colmano  una mancanza.  Pochi versi che colgono un attimo e riportano il discorso verso l’essenziale, verso l’alto.
Nella sezione “Aria e pietra”, che dà il nome alla raccolta, la poesia diventa   preghiera.   Il   primo   verso   è   un’invocazione   (“Luce  non farci mancare”), la conclusione è affidata a una reinterpretazione del salmo 10, che   ricorda   “che   il   tempo   dell’umano /   come   quello   dell’insetto /   dal Risorto è seminato di speranza”. Una speranza precisa, quindi, in quella croce che in modi diversi gli uomini costruiscono e venerano e nella vita altra   che     quella   croce   apre,   così   come   l’immagine   proposta   nel   breve testo   conclusivo,   quella   dell’angelo   che   leva   la   sua   spada   “fra   aria   e pietra”.
Gli ultimi testi guardano al futuro, sono un messaggio ai più giovani,
perché a loro volta tramandino le parole ai più piccoli. È un’eredità fatta di parole, che devono essere ripetute “nella nostra bella lingua” per poter continuare a  vivere. È un c’era  una  volta  che  raccoglie personaggi  della famiglia,   la   loro   fatica   di   vivere,   gli   eventi   drammatici   di   cui   sono   stati protagonisti.   La   raccolta   si   chiude   così,   con   il   ricordo,   che   si   fa   monito, delle “sepolture mute” e della guerra, il “braciere immenso” che mai più
deve ritornare.
Questa raccolta conferma  che  il  linguaggio poetico non è  morto e

smentisce   coloro   che,   alla   fine   del   Novecento,   non   prevedevano   alcun futuro per la pratica della poesia, in un mondo dominato dalla tecnologia e dalla generalizzata ricerca del profitto. Aldino Leoni si pone nella linea di quegli   autori   (da   Raboni   a   Giudici)   che   considerano   la   ricerca   poetica fortemente   vicina   all’impegno   sociale   e   politico,   non   è   lontano   dalla cosiddetta “linea lombarda” per il suo impegno etico e morale (per tutti la grande   lezione   di   Sereni),  ma     sempre   con  una   vena   melodica.  La nota dominante è tuttavia la ricerca esistenziale e di senso nel percorso di vita, ricerca   che   ci   ha   insegnato   Mario   Luzi,   il   grande   maestro   del   secolo appena finito.


Giacomo Balduzzi


I Gatti

I Gatti, edito nella Collana Gli Echi (Joker, 2015) è un CD composto da nove canzoni. L’albo è realizzato da “Il Gruppo dell’Incanto”, la formazione musicale alessandrina composta da Aldino Leoni (voce), Serafina Carpari (voce), Giorgio Penotti (voce, flauto, chitarra, basso e altri strumenti), Mario Martinengo (chitarra), Andrea Negruzzo (pianoforte), Gino Capogna (percussioni) e Daniela Desana (voce recitante). Il brano che dà il nome al CD, “I gatti”, chiude la raccolta con immagini semplici della vita quotidiana: “i gatti delle città / seguono di notte / gli itinerari chiari dei cani, / cercano le impronte dei bambini, / il pelo arruffato nel pungente vento/ che spazza le lamiere delle auto”. Sembrerebbe proprio questa la cifra poetica di tutto il CD: la bellezza, l’incanto, della semplicità, della piccole cose, che segnano il tempo, la storia delle persone e dei territori. Basta ascoltare con attenzione il brano d’apertura: “Genova Prà”, ispirato a un’antica leggenda secondo la quale l’ottimo basilico coltivato sulle alture di Prà, a Genova, è stato seminato dopo una sanguinosa battaglia in epoca napoleonica nella quale morirono migliaia di cavalli. La grande storia dei condottieri, delle armate e delle battaglie sanguinose, dunque, lascia spazio alla meravigliosa semplicità delle piante di basilico “che crebbero e seppero di mare”. La grande storia si affaccia anche nella seconda canzone dell’albo, “C’era una volta”, che parla di due ragazzi figli di due famiglie, una cristiana e l’altra saracena, che si innamorano. Un amore difficile, contrastato: i protagonisti della canzone sono i Giulietta e Romeo della Fraschetta, la zona a est di Alessandria, un tempo boscosa, abitata nel Medioevo anche da popolazioni musulmane. L’incanto delle piccole cose semplici e al tempo stesso straordinarie della vita di tutti i giorni è quello che ritroviamo nella “Filastrocca per Leonardo”, frutto della collaborazione di Aldino Leoni con il poeta genovese Ettore Bonessio di Terzet, da poco dolorosamente scomparso. Leonardo, il piccolo destinatario della ‘ninna-nanna’ è il nipote del poeta. Ci sono poi due canzoni, “Le grotte” e “Un uomo, una donna”, che affrontano il tema del Natale, visto soprattutto come momento di misterioso incontro tra umano e divino: “E in una grotta accade / che il vento entri forte, / gli sguardi si smarriscono, / che cerchino tepore / di lana, di mantello / di paglia intrisa d’aria. // E che un corpo piccolo / riveli un gran mistero / del Padre delle stelle / disposto a respirare”. Nella canzone “Eclissi di luna”, il tema dell’uomo con lo sguardo rivolto alla luna, tanto caro alla tradizione poetica, è trasformato dalla presenza dell’eclissi e da uno sguardo collettivo: “Siamo tanti stasera / a guardare la luna / un po’ in punta di piedi […] Questa notte diversa è di un sole negato, / di una terra vagante. // E noi stiamo a guardare da un po’ / con il fresco sui volti bagnati / l’umiltà della luna”.  Il tema della bellezza semplice, dell’incanto delle piccole cose della vita, è affrontato anche in opposizione ai miti del nostro tempo, in particolare l’edonismo e della ricerca spasmodica della ricchezza materiale e della notorietà. L’idolatria dell’uomo verso il piacere, la bellezza esteriore della giovinezza e le ricchezze materiali sono affrontate e denunciate con ironia e senza moralismi, piuttosto evidenziando la sempiterna valenza del motto epicureo, che riecheggia ne “L’esistenzialità”: “per ora sia vivi ed gaudeamus!”, e della Canzone di Bacco di Lorenzo de Medici, ripresa nei versi di “Quando rosa”: “Tanto bella giovinezza / che più bella non si può / e che sia solo festa / e trabocchino parole / dalle coppe dei pensieri! // E che cantino i successi / delle piazze sugli schermi / e che vengano i denari / gran conforto della vita / perché bella è giovinezza / che più bella non si può!”. Un disco che sa raccontare storie, emozionare, far pensare; da ascoltare e riascoltare.

Loris  Maria  Marchetti

Il Gruppo dell'Incanto:  I GATTI 



A chi mi chiedesse un'opinione sui brani compresi ne I Gatti, ultimo CD del “Gruppo dell'Incanto” (Collana Gli Echi – Joker, 2015), risponderei come rispose Alberto Moravia a chi gli domandava se gli piacevano i quadri di Guttuso: «Sì, mi piacciono». E se colui, insistendo, chiedesse ancora perché mi piacciono, ancora replicherei come lo scrittore: «Mi piacciono perché mi piacciono, non ho altro da dire»
In realtà Moravia, nell'intervista del 1962, dice un mucchio di altre cose, e qualcosa aggiungerò volentieri anch'io, anche se in misura più ridotta (ma non perché I Gatti siano a priori meno importanti della pittura di Guttuso). Le nove canzoni dell'album, uscite dalla penna di Aldino Leoni o di Giorgio Penotti (C'era una volta) o della coppia Leoni-Penotti in tre casi (la stupenda e commovente Filastrocca per Leonardo  è invece  frutto della collaborazione di Leoni con il poeta genovese Ettore Bonessio di Terzet da poco dolorosamente scomparso), si librano in un fervido clima di poesia in tutto degno della migliore canzone d'autore, della canzone “cólta”, di tradizione italiana e non solo italiana. E non soltanto perché Leoni, come è noto, è un validissimo poeta in proprio anche al di fuori del contesto musicale e il Penotti “paroliere” coglie a sua volta esiti di notevole rilievo: il Gruppo già nel nome si richiama, poeticamente, all'Incanto, e Incanto si può e si deve anche leggere In-Canto, giacché alle sue fortune, oltre alle voci di Leoni e Penotti, cooperano quelle fondamentali per carattere e sensibiltà di Serafina Carpari e di Daniela Desana, quest'ultima come voce recitante. (Non andranno poi dimenticati i valenti strumentisti Gino Capogna, Mario Martinengo e Andrea Negruzzo – gli ultimi due anche arrangiatori – , oltre, si intende, al già citato Penotti nella veste di polistrumentista).
Fervido clima di poesia, dicevo. Infatti, sia che le canzoni, con invenzione geniale e raffinata, tocchino storie e leggende locali (in particolare di Genova o dell'Alessandrino), o risvolti sublimati della vita e dell'intimità quotidiana, o i temi eterni e ineliminabili della natura e dell'amore con eloquenti sterzate verso i cosmici piani dello Spirito  e del Sacro, l'esperienza ormai solida e rodata del Gruppo –  nato nel 2005 e firmatario di un buon numero di spettacoli teatrali, di concerti, di “teatralconcerti” oltre che di CD e di DVD – centra bersagli vieppiù ambiziosi e significativi di incidenza e personalità. Vero è (non me ne vogliano i bravi Incantati... ed Incantanti) che qualche lontana eco di autorevoli riferimenti qua e là fa ancora capolino, ma ormai, come avviene per qualsiasi forma artistica, quasi a livello di citazione (per lo più involontaria) ed è risaputo che ogni opera d'arte si nutre di tutte quelle – infinite – che l'hanno preceduta. 
Opera d'arte. Certamente. Una canzone, una semplice canzone, quando è “bella”, cioè quando è riuscita, quando ha conseguito la sua organica espressività, è un'opera d'arte. Come lo è una sinfonia di Beethoven o lo sono un dramma di Verdi o di Wagner. Ogni creazione in rapporto con il proprio àmbito di natura e specificità. E talvolta anche in assoluto. Scriveva Montale in un articolo del 1960 di essere «convinto che una canzone come Miss Otis regrets di Cole Porter vale il più bel racconto di Faulkner». Sappiamo che Montale amava i paradossi, ma quei paradossi racchiudevano di solito una elevata dose di verità e di esattezza: per sincerarsene basta ascoltare il capolavoro di Porter – parole e musica – confrontandolo magari con Santuario o Luce d'agosto del sommo romanziere americano.  
Sì, ribadisco, le canzoni de I Gatti mi piacciono. Mi piacciono tutte. Nessuna meno di altre, semmai qualcuna più di altre. Ma preferisco non rivelare quali. Perché questa non è proprio una recensione, un sommario schizzo di critica, ma, in prima battuta, un'amichevole e verace attestazione di consonanza e un affettuoso augurio di lungo e felice volo.   

)
 
         

Giacomo Balduzzi

Aldino Leoni è uno degli autori che hanno contribuito a una singolare antologia intitolata Nuovi Salmi (a cura di Giacomo Ribaudo e Giovanni Dino, Palermo 2012). La preziosa raccolta contiene la riscrittura di tutti i componimenti del libro dei Salmi da parte di poeti contemporanei. Il contributo di Aldino Leoni è ispirato al Salmo 10, che implora l'irruzione del Signore come giudice e salvatore nella storia: "Sì, tu hai visto fatica e afflizione / e stai all'erta per ripagarle con la tua mano. / A te si abbandona il debole: / tu sei il sostegno dell'orfano" (Sal 10,14). Nella riscrittura gli empi dei nostri tempi "trascorrono il loro tempo in corpi / avvolti in vesti morbide e si muovono di continuo / su macchine terrestri e volanti (...) immersi in molle violenza / fra i loro mille idoli", mentre sono estranei ai doni della povertà, simboleggiati dai segni della semplicità francescana e della penitenza: "non c'è sacco per loro né cenere". La conclusione del "nuovo salmo" del poeta rimanda già, invece, alla rivelazione di Cristo e alla speranza della Risurrezione, venuta a portare sulla terra "il tocco dell'eterno". La preghiera, dunque, arriva ad abbandonare la durezza e si conclude con una sconvolgente apertura alla salvezza, racchiusa nel mistero del perdono di Dio, che va oltre le categorizzazioni umane del bene e del male: "potrai anche trasformarli, / l'empio e il giusto, che tu hai fatti / di egual terra, se perdoni".
(Gennaio 2014)


Sebastiano Aglieco

(Coblenza, luglio 2013)

A.L., A mani ferme, puntoacapo Editrice, Novi Ligure (AL),2012


Appare, questo testo, nella sua prima parte, nella forma di un canzoniere floreale, soprattutto di alberi in pericolo di scomparsa o di malattia: già dal primo testo, in cui la mano che ha raccolto dubita fortemente del senso etico del trasformare, del permettere il travaso dall’esistente al non essere, non per scomparsa perpetua, ma per sospensione purgatoriale in un paese di non nati:
La folle raccolta dei fiori
dai petali lucenti
L’intenzione di farne
fiori secchi decorativi
La sensazione graduale
che si trattava di fiori vivi
p. 9
E si veda poi, per chiarificazione, gli esiti del poemetto finale:
Nel campo
di recente
mani discrete
hanno posto
un monumento
con parole per i non-nati
all’incrocio dei sentieri
Non s’è levato clamore avverso
forse per la discreta dignità
ieratica della statua
forse per il loro non essersi accorti
Nel campo vengono riposti
i nati appena.
p. 48
La riflessione, quindi, si estende nella dimensione della luce, da un punto all’altro (essere-non essere) entro cui si situa la battaglia delle azioni umane, il tendere la corda fino al rischio della rottura…da qui il pericolo che attraversano queste forme ancora lucenti, dotate di una loro rimembranza e resistenza.
Ora che polvere
va divenendo
e terra
e che radice
va diventando nulla
p. 13
Il pittore, come il poeta, dipinge forme in disfacimento, in mutazioni dolorose, e quindi la coscienza della scrittura, laddove la scrittura si ponga come voce di coscienza del Naturale, sa che nessuna cosa può essere relegata allo stato di una non domanda, di una non risoluzione: “Objets inanimés, avez-vous/donc une âme?”, p.33.
La risposta sta, forse, in altri versi, in altre domande. Per esempio questi:
Il tempo
che sembra lenire
mi fa domandare:
ma sono esistiti davvero
con mani operose, leggere
con occhi radenti, socchiusi
con voci?
Tu, tempo,
lenisci e confondi
Dissolvi
pensati e pensanti
Ben solida lasci
mestizia






Poetrydream


DOMENICA 20 GENNAIO 2013

SEGNALAZIONE VOLUMI = ALDINO LEONI

ALDINO LEONI – A mani ferme - puntoacapo Editrice – Novi Ligure (Al)- 2012 – pagg.55 - € 9,00 -
Aldino Leoni è nato ad Alessandria nel 1949 e cura fin dalla fondazione, nel 1981, la Biennale di Poesia di Alessandria
A mani ferme è un testo non scandito; una forma concentratissima connota tutte le poesie e deve essere messo in luce che tutti i componimenti della raccolta sono omogenei tra loro.
Il libro può essere suddiviso in due parti, anche se non è sezionato tramite titoli dei segmenti.
 
Nella prima , la più lunga, si leggono poesie quasi sempre brevi, tutte senza titolo; nella seconda tutte le composizioni sono provviste di titolo e sono di notevole lunghezza, e hanno un carattere più intellettualistico; tra i componimenti della seconda scansione possiamo leggere quello eponimo, che è un poemetto costituito da quattro strofe numerate..
La scrittura procede per accumulo e molti dei testi si possono considerare dei veri e propri frammenti, vista la loro brevità, e hanno un carattere vagamente epigrammatico.
Molto spesso vengono detti elementi vegetali, come fiori, erbe, alberi o frutti, che possono avere anche una valenza metaforica e simbolica.
Le poesie sono caratterizzate da un senso di magia e sospensione; si nota un rigoroso controllo formale e viene nominato spesso il vento. Tutto (nella prima sezione) pare essere detto in un contesto naturalistico e anche le poesie costituite da più strofe si risolvono in un unico respiro.
Leoni può essere considerato, anche se questo non è l’unico aspetto della sua poetica, un poeta della metafora vegetale, avvicinabile a Bacchini o a Pennati; di Camillo Pennati riprende con coscienza letteraria, la tematica della sintonia uomo-natura di quella fusione che sembra così in crisi nella società del nostro postmoderno occidentale.
Anche a livello stilistico il nostro può essere paragonato a Pennati, per i versi sinuosi e le chiuse lapidarie, anche se rispetto al poeta di Sotteso blu, la versificazione di Leoni è meno articolata e i suoi componimenti sono molto più brevi.
La natura pare essere la protagonista della prima parte del libro e viene spesso nominato tra le righe un personaggio vago ed evanescente che viene evocato e del quale ogni riferimento rimane taciuto e la cui presenza sembra serpeggiare in alcune poesie, creando un senso di mistero..
Un senso d’indeterminatezza connota le poesie lunghe che leggiamo in A mani ferme, un senso di avvertita inquietudine, molto diverso dalla linea descrittiva, chiara e luminosa delle poesie senza titolo.
Nel componimento eponima si nota una forte tensione verso la corporeità, nominata con ricchezza di particolari; il linguaggio si fa più articolato, pur mantenendo una certa dose di chiarezza e leggerezza..
Bella la prima parte, di questo, che può essere considerato quasi un breve poemetto, nella quale l’io-poetante si rivolge, quasi come se fosse un medico, ad una figura femminile, parlandole del suo corpo, della sua circolazione del sangue, e di un sonno indotto, probabilmente da psicofarmaci, che si risolve in un felice risveglio.
Come scrive Guido Oldani, nella sua nota introduttiva, “Ora, in questa raccolta dal titolo A mani ferme, tolti i belletti montaliani, resta il padre Ungaretti e per suo tramite, via che si va nell’esistenzialismo della natura, come un Sartre del Creato, prima che si declini, quello che si usa appellare, in qualche modo, nostra civiltà”.

RAFFAELE PIAZZA

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La folle raccolta dei fiori
dai petali lucenti
L’intenzione di farne
fiori secchi decorativi
La sensazione graduale
che si trattava di fiori vivi





Guido Oldani: Una nota per Aldino Leoni

(prefazione al volume A mani ferme)

Se il mondo non fosse fatto solo di taluni mucchi di popoli mischiati fra loro e sugli oggetti, allora l’alternativa, a maggior ragione, la conoscerebbe il poeta. Come se la natura guardasse la natura, se lei guardasse sé e lasciasse trasparire, come prima o dopo l’invenzione del tempo, il modo in cui essa si lascia accadere, in un assoluto dell’essere o dell’esserci.Ora, in questa raccolta dal titolo A mani ferme, tolti i belletti montaliani, resta il padre Ungaretti e per suo tramite, via che si va nell’esistenzialismo della natura, come un Sartre del Creato, prima che si declini quel che si usa appellare in qualche modo, nostra civiltà. L’Europa allora, solo accennata, è fatta di taluni altrove che stanno perfettamente in uno: «ut unum sint».Verrebbe da dire che ovunque è sempre qui. Allora il documentario della immutabilità parmenidea sembra svolgersi secondo le sequenze care al genio di Lavoisier del «nulla si crea, nulla si distrugge». Aldino Leoni fa incontrare così, sotto una pergola del suo alessandrino, l’antico greco con il decollato della rivoluzione francese. Ma ciò accade in poesia, nella sua lenta poesia trentennale che scende, quasi ferma, come il miele, lungo la barba di Aronne. Ne viene una rugiada di scrittura che può sparire da un momento all’altro co nil mutare delle condizioni climatiche, ma resta il sapore che non finisce né si esautora, come dopo una sorsata di un vino concreto, di cui si avverta la salubrità. Sono quasi perfettissimi esercizi di stile, quelli di questo autore, che si muovono verso il reclamare di una affermazione. Quasi un pensiero che mormori circa la non necessità del dire; meglio è l’ascoltare con la dedizione dello sguardo. Fin troppo chiaro allora, come Aldino Leoni abbia frequentato poeti per trent’anni, senza avere mai cercato, in nessun modo, di diventare uno di loro: infatti gli è, che egli lo era di già.

Guido Oldani



 

Recensione di Letizia Lanza al cd Fra i rami


Voci dall'incantesimo


La magia di questa speciale poesia si giuoca già nella definizione, felicissima, di Poesia In-canto. Un’espressione che vale immediatamente a rinverdire le glorie dell’oralità, richiamando forme poetiche remote quali la Grecità così detta omerica. Per esempio, nelle accorate parole che Penelope, in una degradata reggia itacense, rivolge a Femio (Odissea 1. 337), i versi dell’aedo sono definiti «fascinosi» (thelkteria, da thelgo: «affascino, seduco, lusingo, incanto»), in grado di procurare diletto e sollievo dagli affanni. Altrove, sempre nel poema odissiaco, il canto gradevole è «ben ordinato e sapiente» (kata kosmon, 8. 489), «dotato di belle parole» e di «saggi pensieri» (11. 367): solo chi parla con soavità e belle parole, costruendo il suo racconto «con arte» (epistamenos, 11. 368) sa recare diletto e accendere ammirazione in chi ascolta: «Uno può essere meschino d'aspetto, ma un dio di bellezza incorona il suo dire; e tutti lo guardano affascinati: egli parla sicuro, con garbo soave; brilla nelle adunanze, e quando gira per la città, come un dio lo contemplano» (8. 169-17173, trad. Calzecchi Onesti). Di fatto le parole dell’epica, vuoi di dèi vuoi di eroi, sono sempre «alate» come i dardi, che saettano rapidi per meglio colpire, sono «dolci come il miele» per meglio ammaliare, lievi all'ascolto come soffici fiocchi di neve. Da ciò, quell'incantamento collettivo, quella sorta di ipnosi che, quasi per magia, rilassa le tensioni psico-fisiche, allontana le paure, le ansie, le incertezze donando alfine «l'oblio dei mali e il riposo dalle sollecitudini» vagheggiato da Esiodo (Teogonia 55). Di cotale maniera tanto poeta che ascoltatore, stregati dalle immagini che scorrono davanti agli occhi della mente (e del cuore), s'immergono nella condizione psicologica del sogno e realizzano quella perfetta sympatheia che, sola, può produrre il sottile piacere celebrato già dall'Anonimo del Sublime (7. 2) e da Quintiliano (8. 2. 21).

Tutto ciò, pur nella diversità anche estrema di situazioni e momenti storico-culturali, resta in qualche modo sotteso a ogni forma di poesia orale: che sempre e comunque, più ancora forse della produzione scritta, vive di ritmo, è costruzione armonica e melodica di parole (kosmos epeon, come dice Solone nella celebre elegia Salamina) – dunque sostanzialmente musicale. Ed ecco la Poesia In-canto, cioè appunto questa «particolare lettura della poesia, lettura cantata della poesia» tale da garantire da parte del musicista e dell'interprete l'assoluta «centralità del testo poetico: da questo si muove per la musicazione, a questo si guarda scrupolosamente per gli arrangiamenti, in questo ci si concentra per l'interpretazione cantata» (A. Leoni).

Un risultato di rilievo, conseguito con particolare efficacia nel nuovo CD del Gruppo dell'Incanto (edito sullo scorcio del 2004 dalla Joker di Novi Ligure nella Collana "Gli echi") che trae il titolo – Fra i rami – dall'intenso brano leoniano dedicato al racconto biblico della creazione della donna («Andava, andava / da solo, fra gocce / di luce, fra favi / di miele, fra frutti …»). Costituito di 11 canti, si sente forte e suggestiva in larga parte di esso la presenza (anche sulla scia di un ormai lontano viaggio in Grecia) della mitologia classica – ora più scopertamente richiamata (Leda; Epilogo provvisorio) o quanto meno allusa («Canto della sera, / canto del riposo, / canto del ricordo, / canto del passato, / canto di una notte, / notte ateniese»; « … meravigliosi totem invernali / attendono la rincorsa di Ulisse … »), ora sfiorata con levissimo tocco (« … modula nella gola / limpidi acuti suoni / e fai che il pianto / volando in alto / diventi canto. / Fa' che il tuo pianto / diventi canto») in un brano di Giorgio Penotti, Progne: variante di petrarchesca ed ariostesca memoria del nome greco Procne, che designa la misera protagonista, assieme alla sorella Filomela, di uno dei miti più truci e di più tragico eroismo femminile che io conosca.

Le parti musicali e gli arrangiamenti di Mario Martinengo e dello stesso Penotti (per il primo brano, Nel cavo degli occhi, di A. Leoni) animano di particolare vita i testi poetici: di Aldino Leoni, appunto (Canto della sera oltre al già ricordato Fra i rami) e, nell'ordine, di Corrado Antonietti, Roberto Pasanisi, Ettore Bonessio di Terzet, Salvatore Ritrovato. Alla calda voce maschile di Leoni s'intrecciano con abile giuoco quelle, tutte femminili, di Galatea Psonis (Canto della sera; Fra i rami) e di Serena Torti (Epilogo provvisorio).

Un prodotto importante, insomma: da ascoltare con gioia emozione raccoglimento. Così come ho fatto io stessa.


© Letizia Lanza






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